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Tribunali Emilia-Romagna > Licenziamento
Data: 13/04/2007
Giudice: Brusati
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 118/07
Parti: S.G. Love / E.N.P.A. – Ente Nazionale Protezione Animali
TRIBUNALE DI PARMA - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE PER GIUSTO MOTIVO OGGETTIVO - RICONDUCIBILTÀ ALL’IPOTESI DI LICENZIAMENTO COLLETTIVO IN PRESENZA DELLA MEDESIMA CAUSALE DEI RECESSI (RIDUZIONE DI ATTIVITÀ TRAENTE ORIGINE DA CRISI AZIENDALE)


Art. 414 c.p.c.

Art. 420, I comma c.p.c.

Art. 3 L. n. 108/90

Art. 24, I comma L. n. 223/91

Artt. 1 e 11 L. n. 604/66

LICENZIAMENTO INDIVIDUALE PER GIUSTO MOTIVO OGGETTIVO - RICONDUCIBILTÀ ALL’IPOTESI DI LICENZIAMENTO COLLETTIVO IN PRESENZA DELLA MEDESIMA CAUSALE DEI RECESSI (RIDUZIONE DI ATTIVITÀ TRAENTE ORIGINE DA CRISI AZIENDALE)

Un lavoratore, licenziato per giustificato motivo oggettivo (soppressione dell’ufficio ove prestava la sua attività), impugna giudizialmente il recesso individuale e dalle difese della convenuta apprende per la prima volta che questa, entro i 120 giorni dal licenziamento, ha proceduto ad una riduzione del personale per un numero di unità superiore a cinque; propone quindi un secondo ricorso con il quale denuncia l’inefficacia del recesso “collettivo” per violazione dell’art. 24 della legge n. 223/91. Il Tribunale di Parma - dopo aver riunito le due cause - rigetta l’eccezione della società di inammissibilità della seconda domanda, considerandola domanda “nuova” rispetto a quella contenuta nel primo ricorso (essendo basata su causa petendi e fatti diversi) e come tale ben ammissibile, in quanto il divieto di proporre domande nuove opera solo all’interno dello stesso giudizio e non preclude un nuovo e separato ricorso, non operando il principio del ne bis in idem. Il Giudice parmigiano accoglie quindi il secondo ricorso proposto, sulla base della presunzione di riconducibiltà ad una medesima causale di tutti i licenziamenti, sempreché attuati nell’arco dei 120 giorni e non dovuti a ragioni soggettive, dettata dalla legge n. 223/91, richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale il legislatore, ricorrendo all’espressione di valore e portata onnicomprensiva “riduzione o trasformazione dell’attività di lavoro” di cui all’art. 24 legge n. 223 del 1991, ha inteso ricomprendere nella fattispecie della riduzione del personale tutte le ipotesi in precedenza configurabili come causa di licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo. Il Tribunale fa così dipendere il discrimine tra le due fattispecie di licenziamento unicamente dall’elemento numerico e non invece dalla diversa tipologia delle ragioni d’impresa, negando così una differenza ontologica tra licenziamenti collettivi e licenziamenti plurimi per giustificato motivo oggettivo (Cass. n. 11251/1999; Cass. n. 11455/1999; nello steso senso Cass. n. 144471/2000; Cass. n. 2463/2000; Cass. n. 8777/2001; Cass. n. 1364/2003 e Cass. 4274/2003).




Tribunali Emilia-Romagna > Licenziamento
Data: 15/06/2010
Giudice: . Ponterio
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento:
Parti: MOHAMED M. / FRATELLI FREGNI
TRIBUNALE DI MODENA - LICENZIAMENTO INTIMATO A SEGUITO DELLA MANCANZA DI NUOVE COMMESSE E DELLA PROGRESSIVA ULTIMAZIONE DEI CANTIERI IN ESSERE – ILLEGITTIMITA’


Un azienda con cinque dipendenti licenziava nell’arco di 3 mesi  (da luglio a settembre 2007)  tre dei cinque lavoratori  occupati. Il ricorrente veniva licenziato dal 26.9.08, con le seguenti motivazioni: “a seguito della mancanza di nuove commesse e della progressiva ultimazione dei cantieri in essere”.

In data 14.4.09 veniva assunto dalle liste di mobilità M. M. , con la qualifica di muratore e con contratto a termine ai sensi dell’art. 8 comma 2 l. 223/91, contratto che veniva poi  prorogato per diversi mesi e trasformato poi in contratto a tempo indeterminato.

Dall’esame dei bilanci 2007 e 2008 era emersa una riduzione dell’utile di esercizio da euro 90.900,00 nel 2007 a euro 35.754,00 nel 2008 e la società dimostrava inoltre la riduzione nei primi sei mesi del 2009, rispetto all’analogo periodo del 2008, sia del monte ore lavorate e sia del fatturato.

Il Tribunale pur ammettendo esservi  stato nel 2008 un calo delle commesse, quindi necessità di un riassetto organizzativo per comprimere i costi e far fronte alle perdite, ha ritenuto tuttavia non dimostrata in modo rigoroso l’esistenza di una situazione sfavorevole non contingente edi dimensioni tali da giustificare una riduzione così drastica dell’organico aziendale.Il fatto che la società convenuta abbia licenziato tre lavoratori su cinque nell’arco di tre mesi, da luglio a settembre 2008, ed abbia  assunto, dopo alcuni mesi, in aprile 2009, un nuovo dipendente, adibito alle stesse mansioni di coloro che erano stati licenziati, significa o che aveva sopravvalutato le difficoltà aziendali, anche quanto alla durata, oppure che ha colto l’occasione per sostituire alcuni dipendenti con altri.

In ogni caso difetterebbe un giustificato motivo oggettivo:1) per il carattere contingente delle difficoltà aziendali 2) per la parziale, pretestuosità dei motivi economici, tali da non giustificare una riduzione dell’organico nella misura attuata, come dimostrato dalla assunzione, dopo alcuni mesi, di un altro dipendente dalle liste di mobilità, al fine evidente di un risparmio di costi. Peraltro, la società non si è neppure preoccupata di dimostrare la sopravenuta necessità dell’ultima assunzione in relazione appunto ad una inattesa ripresa dell’attività aziendale o ad una impennata delle commesse. Per il Tribunale non può sostenersi l’assoluta libertà dell’imprenditore di licenziare per una qualsiasi esigenza di riduzione dei costi, anche temporanea e di qualunque entità, perché ciò vanificherebbe la disciplina limitativa del recesso e ciò in sintonia con il prevalente indirizzo giurisprudenziale secondo cui:il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo…è determinato non da un generico ridimensionamento dell'attività imprenditoriale, ma dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore, soppressione che non può essere meramente strumentale ad un incremento di profitto, ma deve essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti; il lavoratore ha, quindi, il diritto a che il datore di lavoro (su cui incombe il relativo onere) dimostri la concreta riferibilità del licenziamento individuale a iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo-organizzativo e non ad un mero incremento di profitti e che dimostri, inoltre, l'impossibilità di utilizzare il lavoratore stesso in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale”;(nello stesso senso Cass., 14215/05; Cass., 12514/04).

Il Giudice di Modena, pur non trascurando il diverso indirizzo giurisprudenziale in base al quale “ai fini della sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, ferma restando la prova dell’effettività e della non pretestuosità del riassetto organizzativo operato, le ragioni inerenti all’attività produttiva possono sorgere, oltre che da esigenze di mercato, anche da riorganizzazioni o ristrutturazioni, quali che ne siano le finalità, quindi anche quelle dirette a un risparmio di costi o all’incremento dei profitti, quale che ne sia l’entità”, (Cass., 21282/06Cass., 10672/07; Cass., 16323/09), ritiene tuttavia di non doverlo condividere per una serie di  argomenti, di ordine letterale e sistematico.

Ai sensi dell’art. 3 l. 604/66, il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

Ragioni è un’espressione che evoca non una preferenza, una discrezione o convenienza dell’imprenditore, bensì una necessità razionale, una causa oggettiva, logicamente idonea a spiegare la necessità e inevitabilità del recesso. Se si aderisse alla tesi qui criticata si finirebbe per far coincidere le ragioni del recesso con qualsiasi scelta o preferenza dell’imprenditore, fino a considerare legittima la sostituzione, ad esempio, di un lavoratore anziano con un altro più giovane, oppure con un apprendista, con un lavoratore a termine o un collaboratore a progetto, quale mero strumento di riduzione dei costi.Occorre poi considerare che tutta la giurisprudenza citata, mentre ribadisce l’assoluta insindacabilità delle valutazioni imprenditoriali, nello stesso tempo pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di repechage, cioè di dimostrare l’inutilizzabilità del lavoratore in altre mansioni equivalenti.

Imporre l’onere di repechage significa restringere l’ambito delle scelte organizzative, significa imporre all’imprenditore una scelta organizzativa prescindendo dalle sue scelte. La contemporanea affermazione del principio di insindacabilità delle scelte datoriali e dell’obbligo di repechage si giustifica solo se si ammette




Tribunali Emilia-Romagna > Licenziamento
Data: 22/12/2010
Giudice: Coscioni
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento:
Parti: P.S. c/Poste Italiane
TRIBUNALE DI PARMA - MANCANZA DI TEMPESTIVITÀ DELLA SANZIONE DISCIPLINARE – ILLEGITTIMITÀ DEL LICENZIAMENTO – REINTEGRA IN VIA D’URGENZA CON PAGAMENTO DELLE RETRIBUZIONI PERCIPIENDE.


TRIB. PARMA 22.12.2010 – EST. COSCIONI (ORD.)

TRIB. PARMA 25.1.2011 – EST. PASCARELLI (ORD. COLL).

art. 2119 cod. Civ.

art. 18 legge n. 300/1970

art. 700 c.p.c.

P.S. c/Poste Italiane

MANCANZA DI TEMPESTIVITÀ DELLA SANZIONE DISCIPLINARE – ILLEGITTIMITÀ DEL LICENZIAMENTO – REINTEGRA IN VIA D’URGENZA CON PAGAMENTO DELLE RETRIBUZIONI PERCIPIENDE.

Una portalettere, dipendente di Poste Italiane, veniva licenziata in quanto non aveva consegnato una assicurata, limitandosi ad inserirla nella cassetta postale del destinatario; aveva poi sostenuto di averla consegnata senza aver fatto sottoscrivere l’avvenuta consegna; una volta accertata da Poste Italiane l’anomalia della mancanza di sottoscrizione, era quindi tornata nello stabile ove risiedeva il destinatario, facendo sottoscrivere la ricevuta ad una persona qualificatasi come condomino ed apponendo essa stessa la dicitura “moglie” accanto alla sottoscrizione.

“Era poi risultato che l’assicurata conteneva una carta di credito e che tramite questa (sottratta dalla cassetta postale da persona rimasta ignota, benché responsabile di altri analoghi furti commessi lo stesso giorno), erano stati effettuati indebitamente prelievi di somme.

A seguito della denuncia di tali prelievi, Poste Italiane ha aperto indagini. Dopo un mese ha interrogato la portalettere, la quale (pur protestando di essere rimasta completamente estranea al furto e all’uso indebito della carta di credito) ha reso piena confessione dei suoi comportamenti. E’ stato solo dopo un secondo interrogatorio, avvenuto a 28 giorni di distanza, durante il quale la lavoratrice ha confermato le sue responsabilità e dopo che sono il decorso di altri 63 giorni, che Poste Italiane ha proceduto a contestarle gli addebiti. La lavoratrice ha risposto nel termine di 5 giorni, sempre confermando la sua responsabilità; ma solo dopo 20 giorni si è avuto il suo licenziamento per giusta causa.

Il ricorso d’urgenza proposto dalla lavoratrice per ottenere la reintegrazione in servizio è stato accolto dal primo giudice, osservando che i tempi sopradescritti concretano un eccessivo ritardo nella reazione disciplinare e che Poste non poteva rispondere che tanto era dipeso dalla complessità della sua struttura organizzativa, dovendo questa essere adeguata alla necessità della tempestiva reazione disciplinare; “in caso contrario, la istituzione di una miriade di strutture potrebbe procrastinare ad libitum la instaurazione di un procedimento disciplinare”.

Da qui, non avendo la lavoratrice altri mezzi economici e potendo contare solo sull’aiuto della madre, modesta pensionata, l’ordine di reintegra immediata e di pagamento delle retribuzioni percipiende dal licenziamento alla riammissione in servizio.

Il reclamo proposto da Poste è stato respinto.

Il Collegio, infatti, richiamando Cass. 8.6.2009 n. 13167, ha confermato il giudizio di tardività della reazione disciplinare: “Poste non poteva attendere oltre 3 mesi prima di contestare alla lavoratrice “i comportamenti che essa aveva confessato e che non esigevano accertamenti e indagini ulteriori d’ogni genere”. “Quanto al periculum in mora”, ha aggiunto, “lo stesso va ravvisato nelle precarie condizioni economiche in cui versa la ricorrente, la quale, priva di fonti di reddito diverse dal suo stipendio, convive con l’anziana madre, titolare di una esigua pensione (complessivi lordi €. 23.837 annui)”. E perfettamente coerente  con tale valutazione è anche l’ordine di pagamento delle retribuzioni medio tempore percipiende (che non vale ad anticipare l’applicazione dell’art. 18 S.L., perché traducentesi nella specie nel pagamento di somma inferiore al risarcimento minimo pari a 5 mensilità di retribuzione globale da tale norma previsto).